IL POLLICOTTERO SULLA STRADA DEL VENTO
In un piccolo paesino sperduto tra le colline del Chissadove, proprio vicino al grande bosco del Meglio di No, c’era una lunga strada dritta di cui nessuno era mai riuscito a vedere la fine, si perdeva dritta nel paesaggio fino all’orizzonte, come se fosse il lunghissimo braccio di un gigante che un giorno era passato di lì, s’era sdraiato in terra e non aveva più avuto voglia di andarsene. Non c’era una casa né una fattoria lungo quella strada, non una capanna e nemmeno un crocevia, niente la attraversava e niente la disturbava. Era lì, silenziosa, sola e dritta, da un lato la costeggiavano gli alberi più esterni del bosco, dall’altro un piccolo fiume le scorreva di fianco e campi verdi a perdita d’occhio.
Gli abitanti del paese non si avventuravano mai lungo quella strada, ne avevano paura come si ha paura di ciò che non si conosce, e per questo avevano iniziato a raccontare strane leggende, storie di paura che servivano ai grandi per spaventare i bambini, storie di gente partita e mai più ritornata, storie di tempeste e mostri che sorprendevano i viandanti che osavano avventurarsi per quella strada. Aldilà di queste favole c’era però un fatto strano che nessuno riusciva a spiegare: visto che nessuno ci passava mai, la strada dopo qualche tempo avrebbe dovuto riempirsi d’erbacce e piante, la natura avrebbe dovuto ricoprirla come fa di solito quando le si lascia la possibilità. E invece no, neanche per niente. Il tracciato della strada, i sassolini ai due lati separati da una striscia centrale di erba verde, erano sempre lì, perfetti e precisi come se ci passassero mille automobili al giorno. Per questo motivo gli abitanti del paese l’avevano soprannominata LA STRADA DEL VENTO.
Dicevano, infatti, che di notte, quando nessuno lo poteva vedere, un forte vento passava a spazzare via ogni tentativo d’invasione, e sradicava con cura ogni piccola erbaccia fuori posto, ogni notte, da anni e anni. E così la strada del vento se ne stava là, dritta e silenziosa, e nemmeno lei sapeva quando finiva né dove portava, quanto fosse lunga o perché fosse lì. C’era e basta, come tante cose nel mondo che non hanno bisogno d’alcun motivo per esistere, e sono felici così. Come una stella marina o un gatto pasticcione.
A proposito di animali, dovete sapere che in quella zona, proprio dentro il bosco del Meglio di No, viveva un piccolo e buffo animale, unico nella sua specie, un animaletto dalla forma strana, chiamato IL POLLICOTTERO. A vederlo da lontano poteva sembrare un pollo come tanti: piume marroni, becco a punta e zampe di gallina. Un particolare però lo rendeva davvero speciale: al posto delle piccole ali sui fianchi il nostro animaletto aveva una piccola elica piumosa sopra la testa, proprio come quella degli elicotteri. Ed ecco spiegato il suo nome.
Grazie a quest’elica il pollicottero era in grado di alzarsi da terra e spiccare dei piccoli voli, di solito di pochi metri, anche perché per far muovere l’elica doveva concentrarsi moltissimo, strizzava gli occhi e tratteneva il respiro, e tutto ciò gli costava davvero tanta fatica. Il pollicottero era anche un po’ pigro e mangiava solo una volta la settimana, inoltre era un animale molto triste e brontolone. Chi lo avesse incontrato per sbaglio, avrebbe sentito un continuo borbottare, un lamento senza fine su quanto difficile e faticosa fossa la vita di un pollicottero. In realtà passava tutto il giorno nel bosco a dormire e prendere il sole, e non aveva altra preoccupazione che quella di lisciarsi le piume. Si comportava così perché si sentiva solo, non aveva amici perché tutti gli animali del bosco pensavano che gli piacesse stare solo e anche, a dire il vero, molti di loro lo prendevano in giro a causa del suo buffo aspetto. Non aveva neanche una famiglia, era nato da un uovo in cima ad un albero, e nessuno sapeva come ci fosse finito né chi ce lo avesse portato. Del resto in giro per il bosco non si era mai visto qualcuno o qualcosa che gli assomigliasse solo un pochino.
Così un bel giorno, accompagnato dal suono del suo brontolare, decise di uscire dal bosco, di andarsene via senza neanche sapere bene il perché. Forse per cercare la sua famiglia, forse perché si era stancato di mangiare semi di betulla, o forse solo perché aveva voglia di cambiare aria. Fu così che il pollicottero si ritrovò tutto solo lungo la strada del vento, zampettava a testa bassa e ad ogni passo si sentiva più triste e solo, in quello spazio immenso, lungo quella strada che non finiva mai. Stava già per decidere di tornare indietro quando un piccolo sbuffo di vento lo colpì da dietro, fece ruotare la sua elica quel tanto che bastava per fare un piccolo salto in avanti. Il pollicottero era sorpreso e felice, per la prima volta nella vita era riuscito a volare senza sforzarsi neanche un po’. Incoraggiato da questa novità decise di proseguire, e ogni volta che si stancava, si scoraggiava e ricominciava a brontolare, un soffio di vento sempre più forte lo spingeva avanti.
Oramai il giorno stava per finire e il sole, rosso per la vergogna di essere così bello, stava scendendo lentamente dietro l’orizzonte per andare a riposarsi, quando il pollicottero si fermò in mezzo alla strada del vento, deciso a scoprire il mistero di quelle spinte che lo facevano volare, chi fosse e perché voleva farlo continuare lungo una strada che non portava da nessuna parte? Allora gonfiò il petto, alzò la testa, gettò uno sguardo intorno e con quanta più voce aveva in corpo urlò: “SI PUÓ SAPERE COSA VUOI DA ME? CHI SEI?? DOVE MI VUOI PORTARE??? FATTI VEDERE SE NE HAI IL CORAGGIO!!!” Disse questo tutto d’un fiato e tirò un lungo respiro subito dopo aver finito, non aveva mai detto tante parole a voce alta in una volta sola.
Per un po’ ci fu solo silenzio, poi quando il pollicottero stava per andarsene sconsolato, il vento soffiò fortissimo e lo alzò da terra come mai prima di quel momento, lo spinse altissimo e lo tenne lì, sospeso in aria come una mongolfiera. Dalle correnti d’aria in pochi secondi iniziò a formarsi il profilo di un volto: il volto del vento della strada del vento. Due occhi e allegri e i capelli mossi, con una voce che sembrava un soffio parlò: “Amico mio, come te son solo anch’io. Neanche un secondo posso star fermo E la mia vita sembra un inferno. Porto le foglie, le nuvole e i fiori Sperando che qualcuno di me s’innamori. Per la mia strada mai una persona Né brutta né bella né buffa né buona. Resta con me e sarai sempre in volo Viaggeremo insieme e non sarai più solo”. Con queste parole il vento si placò, posò in terra il pollicottero che, un po’ stordito, si mise a pensare. Gli servì poco tempo, un sorriso e una scrollata di piume e il suo destino era già deciso. Ancora oggi si raccontano storie di un pollo volante sulla strada del vento, alcuni dicono che sono solo favole, altri giurano di averli visti volare, insieme, il vento e il suo amico lungo la strada che non finisce mai.
STORIA: Massimo Tiburli Marini
DISEGNI: Susanna TIburli Marini