lunedì 15 febbraio 2010

DIARIO DA SAIGON - PART ULTIMA -

PALIMURO – SENZA TEMPO –

Mezcal.Il verme sentenzia: “finalmente ce l’hai fatta a scordare il tuo passato… Quanta vita hai faticato per non perderlo di vista!

Non c’è tempo qui, non c’è misura. Non cercare il tuo riflesso. Sono solo io: te stesso”.

Sono il verme, senza dubbio.

Mi sono bevuto, il cervello m’inganna.

Sono ovunque.

Cammino sopra l’acqua, lungo il paseo del mar: una striscia d’orizzonte azzurro in fiamme, riflessi di sole fino al rosa flamingo verso la fine del mondo.

Posso colorare il cielo di Holbox, posso rovinare tutto.

Oc non c’è più, è rimasto il cane. Mi segue, nel deserto del nord, mi guarda.

Continuo a perdere la vista: nel rosa del mare, mi volto e la vedo: una geisha, grande come la schiena di chi la indossa.

Riconosco la mano del tatuatore: Horioshi III.

I colori del kimono sfumano tiepidi sul volto devoto della dea in riposo. Non può che essere lui:

Takeshi Kitano, in piedi sulle acque, pronto ad indicarmi un cammino: “vivo qui da quando posso, non ho conti alla rovescia, sono rimasto senza fiato. Qui non serve”.

Non capisco e glielo dico. I fenicotteri, macchia rosa intorno alla fine, stendono esili le zampe verso riva. S’avvicinano colli torti pizzicando il mare. Pronti a non volare più.

Il sole albeggia e tramonta di continuo nello stesso punto infinito di luce. Un filo tirato in asse perpetuo.

Takeshi indica lontano: “vedi quel punto? Dove i colori si tuffano nella sabbia? Lì cresce l’albero sempre morto della vita. Da lì proviene ogni mia idea”.

Oc abbaia. Nel deserto tra i piccoli cactus, mi fa segno di muovere un passo, e uno solo ne basta per ritrovarmi seduto, sdraiato in piedi nudo sull’albero morto da quando esiste vita.

Non sono pazzo. Solo fuori da tempo e storia.

Ho finito i miracoli e i miei occhi non vogliono vedere più.

Piango alla morte che non so portare.

Urlo alla vita che mi possiede.

Sono finito.

È tutto finito. Fine.

FINE.

FINE.

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