lunedì 18 gennaio 2010

DIARIO DA SAIGON - PART 4 - SALINA CRUZ

SALINA CRUZ. 6 GENNAIO 2000. Quei baffi continuano a parlarmi in una lingua che non capisco. L’uomo alto che ci sta dietro sembra sempre meno minaccioso. Passa mezz’ora a spiegarmi a gesti mappe di posti che non so, piene di simboli e numeri.

Poi si accende una pipa e me la passa, faccio un tiro veloce, e da lì in poi la lingua è la stessa:

“Hai mai sentito parlare dei Curanderos? Bhè…è fumando pipe come questa che i curanderos riescono a risolvere i problemi della gente, inclusi quelli di comprensione. Questo che stiamo parlando è antico dialetto Maya”.

Sul momento pensai che fosse un gioco di prestigio, poi le visioni cominciarono a fluire da sole: numeri, calendari astrali, strani segni a rappresentare i volti oblunghi delle divinità del tempo.

Lo sconosciuto si presenta: si chiama Oc (antico nome del Dio Cane), è un curandero di dodicesima generazione, zapatista vero. Alto, incazzato e con una missione da compiere. E un gran paio di baffi.

La sua destinazione è Palenque, nel cuore del Chapas, regno incontrastato del sub-comandante Marcos, lo sanno tutti. Sapeva benissimo che io ero qui, e il verme di Oaxaca non era altri che un suo messaggero. Era qui che voleva condurmi, e Nancy per un po’ aveva fatto parte dei suoi piani.

Aveva bisogno di me per portare a termine la missione di una vita: rapire il figlio per destituire il padre: Marcos, a suo dire un fantoccio messo lì dal governo per coprire altri interessi, di sicuro non quelli della sua gente.

SAIGON. 13 MARZO 1974. Nancy tiene già tutti e sette i fratelli per le palle. Puttana. Sono convinto che se li scopa più di uno alla volta. Loro sono i miei ragazzi e lei me li sta portando via, fanno sempre peggio il loro lavoro ed hanno preso ad infrangere le mie prime due regole: 1) niente droga tra i miei uomini; 2) nessuna cazzata con la droga.

A Nancy piace la coca, era normale che finisse così.

SALINA CRUZ. 6 GENNAIO 2000. 23.35. Il viaggio verso il Chapas prevede una tappa in questa città di merda. Solo una notte da passare in questo squallido porto industriale, crocevia delle peggiori facce mai viste in Mexico.

Oc scambia poche parole con una di queste davanti ad un chiosco, poi decide di fermarsi per mangiare, dice che il tipo gli ha indicato un posto. A me è sembrato un informatore. E infatti, in pochi minuti, quella che sembrava una sosta obbligata, si rivela essere parte della missione.

C’era da uccidere un uomo, un contrabbandiere di cozze molto pericoloso.

Capo Cozza era il suo nome, e gli piaceva il cazzo. A lui e a tutta la sua banda. Loschi froci persi.

Questa checca malefica sfruttava col suo traffico migliaia d’indigeni, costretti a versare sangue dai piedi sulle sue cozze del cazzo. Secondo il mio compagno curandero zapatista meritava di morire, e io in questi casi di solito non ho niente da obiettare.

Nella sala privata del ristorante si stava svolgendo la festa di Capo Cozza. Non c’era cosa che gli piacesse di più che organizzare questi party per culi pelosi. I drink vengono serviti da camerieri muscolosi che girano nudi con dei vassoi in mano. Vassoi di cozze.

Cinque guardie del corpo da eliminare per arrivare a lui, seduto al tavolo nel centro della sala. Un grande tavolo quadrato, un cubo ad ogni angolo sopra cui ballano quattro cazzi belli tosti. Montagne di cozze davanti. Che schifo. Una cozza e un tiro al cazzo e via così…a dire il vero, scene di uno squallore indefinibile.

Io e Oc siamo professionisti: veloci, determinati e precisi. Io mi prendo in cura le guardie del corpo: la beretta silenziata del Colonnello Burz non fallisce un colpo. I corpi cadono senza rumore.

Oc il curandero spicca un salto furioso da tigre, lo agguanta da dietro, afferra il guscio di una cozza e, con lo strumento del suo successo, lo sgozza.

Nessun commento:

Posta un commento