giovedì 21 gennaio 2010

DIARIO DA SAIGON - PART 5 - ZAPATERIE

17 aprile 1961. L’HAVANA. ISLA DE CUBA. I sette fratelli sono dei bambini. Più o meno felici, come tutti i bambini. Ignorano completamente che il padre, Allen Dulles, pluri-discusso capo della CIA, sta per essere silurato dal presidente Kennedy in persona.

La buffonata alla baia dei porci è stato troppo per tutti.

Castro a questo punto dovrebbe sapere anche quante volte andiamo a pisciare. Ci sono più spie che campesinos qui, e i comunisti ormai ci guardano come si guarda un cretino.

Il colonnello Burz al tempo è un giovane e convinto Capitano cretino.

Ieri è stata la più brutta giornata della mia vita: i corpi trivellati dei compagni cadevano come birilli sulla spiaggia sotto il fuoco nemico. Io dall’alto li ho visti cadere tutti, mentre con un vecchio B-26 del ’43 cercavo di allargare quel dannato cul de sac, di coprire a colpi di mitraglia la ritirata più disperata mai vista in terra.

Allen Dulles per me è stato come un padre. Mio padre militare. Lui mi ha insegnato il pensiero laterale: il complotto come strumento di disciplina.

Lui mi ha voluto qui per assistere la sua disfatta.

Ho smesso di contare le volte che mi ha salvato la vita più o meno alla nascita del suo quarto figlio: Bruno.

La mamma, Maria Sabina, per sette volte ha cucito scarpine rosa col sogno di crescersi un’amica in casa, per farsi dare una mano, per avere una volta una complice. Sette volte in vano. Sette figli maschi, addestrati ad un destino già scritto. I miei ragazzi. E io non sono riuscito a salvarli.

7 Gennaio 2000. San Cristobal de las Casas. Ore 21.13. Posada Cortomaltese. Siamo appena arrivati. Oc conosce bene il proprietario, un vecchio comunista italiano: Fabio. Sono anni che traffica armi per i ribelli usando le amache come copertura. Potenza del libero scambio! Oggi lo trovate anche su internet… Arrivato in Chapas sulle tracce di un sogno condiviso, infranto il 31 dicembre del 1993, quando l’esercito regolare messicano decise che il gioco era durato troppo. A San Cristobal quel capodanno se lo ricordano bene. Quando parliamo di queste cose Oc s’incazza come una bestia, dice che continuano a pigliarci per il culo: nel 1992 in Messico esplose la più grave crisi economica del secolo. C’era bisogno di un diversivo, di un nemico comune da operetta per distogliere l’attenzione. E d’un tratto spuntano fuori un nome, un passamontagna e un esercito di poveracci pronti a dare la vita per colpa di una mese nero a Wall Street. A Oc tutto questo non va giù. Dice che Marcos se n’è accorto troppo tardi. È stato un burattino travestito da burattinaio: i suoi accordi iniziali col governo hanno compromesso tutto in modo irreparabile. E ora San Cristobal è diventata la mecca del turista-comunista, in cerca di qualche buon selvaggio con cui farsi fotografare. I pochi veri combattenti rimasti, in fuga o in transito, passano tutti da qui. In cucina c’è Ciccio che sta cucinando. Checca, la sua donna, legge un libro di Trotzkj con un gatto appallottolato sulle gambe. Sono due cuochi guerriglieri, da anni vanno in giro per il mondo a dare cibo ai più rabbiosi tra gli affamati.

17 aprile 1961. L’HAVANA. ISLA DE CUBA. 19.17. Sette fratelli. Tra meno di un’ora i miei sette figli. Sette fratelli orfani.

Allen Dulles, uno degli uomini più corrotti della storia, un visionario della finanza creativa, un padre per me, sta per morire insieme alla moglie Maria in un attentato. Per mano amica, almeno fino a ieri. Tra i servizi, i russi, i nazisti e la massoneria c’è solo da tirare a sorte fra quanti lo volevano morto.

Sette orfani. Sette soldati. Sette vite di cui prendermi cura. La mia guardia personale. E io non sono riuscito a salvarli.

7 gennaio 2000. San Cristobal de las Casas. 23.48. Edgar è appena arrivato. Ci metto un secondo a capire che è lui il nostro contatto. Oc parla con lui a bassa voce in dialetto Maya. A cena mi spiega che è una guida, uno dei maggiori conoscitori della selva e della simbologia pre-cristiana. Ha speso gli ultimi 9 anni della sua vita a decifrare la numerologia del calendario maya. Mi regala un medaglione d’argento che raffigura il dio del mio giorno: Ben, numero 13. Prima di indicarci la via per Palenque, meta della nostra missione, dice che domani dobbiamo andare a S.Juan Chamula. Per purificarci, con una pepsi e una gallina da offrire in sacrificio.

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